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E SE ACQUISTIAMO UN ANIMALE MALATO?

Che cos’è che ci propone il nostro “Legislatore” nel caso in cui venga acquistato un animale portatore di malattie infettive od altre patologie e ciò, però, venga scoperto dopo la compravendita? Quali strumenti giuridici avrebbe a disposizione l’acquirente danneggiato per difendersi contro il venditore? Tali quesiti nascono dal fatto che molto spesso capita che venga acquistato un animale che poi si scopre avere una patologia più o meno grave e di distinta natura (ad esempio infettiva).
Sovente mi è stato domandato: che cosa posso fare contro il venditore? E’ possibile tenere l’animale oppure devo restituirlo obbligatoriamente? Se restituissi l’animale allora mi verrebbe restituito il denaro già versato? Qui di seguito vado ad esporre ipotetiche e teoriche soluzioni giuridiche per “aggredire” la parte venditrice.
Nel nostro Codice Civile esiste una norma (art. 1496 c.c.) che disciplina la fattispecie della “vendita di animali”, partendo dal presupposto legale che un animale è propriamente una “cosa”, ossia un bene di diritto e, pertanto, come tale, anche inalienabile, col rischio che si manifestino le predette conseguenze. Tecnicamente, secondo il linguaggio giuridico, una “malattia” sull’animale, potrebbe essere interpretata alternativamente:
1) come “vizio o difetto” della cosa venduta
2) come “mancanza di qualità” della cosa venduta
3) come “mancanza nell’oggetto di requisiti previsti secondo legge”
ad ogni succitata categoria corrisponde una distinta azione legale e, quindi, correlative fattispecie di diritto in cui può rientrare il singolo caso.
Con l’espressione “azione legale”si intende la “possibilità processuale” di cui si è anticipato, ossia la soluzione tecnico-giuridica per far fronte alla scoperta malattia. Ogni lettore può valutare dove collocare il suo “caso” e deciderne la conseguente predetta categoria ai rispettivi effetti di legge; ciò ovviamente con l’ausilio di un competente tecnico operatore del diritto per l’adozione delle norme di legge.
Nello specifico se la patologia è considerabile appartenente alla categoria dei “vizi o difetti”, essendo per legge (art 1490 c.c.) “il venditore tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”, l’acquirente, se rileva presenza di patologie su di esso, ha la possibilità di accendere un giudizio contro il venditore con la cosiddetta “azione di garanzia” altrimenti definita “redibitoria”.
In concreto, egli può agire processualmente per ottenere la risoluzione del contratto di compravendita e la restituzione della somma versata come corrispettivo contro la restituzione dell’animale al venditore; oppure agire per la riduzione del prezzo se ha interesse a trattenere l’animale di cui magari si è nel frattempo affezionato; salva comunque la non esclusa azione di risarcimento danni in conseguenza della vendita viziata.
Il lettore però deve fare attenzione al fatto che il compratore decade dalla predetta tutela legale se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, sempre che le parti stipulanti il contratto non abbiano stabilito un diverso termine.
L’azione comunque si prescrive nel termine di un anno dalla consegna dell’animale: ciò significa che dopo il compratore, anche se volesse, non avrebbe più diritto ad adoperare questa tutela giudiziale. Occorre dunque prestare attenzione a tali barriere temporali!
Quanto alla denuncia entro gli otto giorni, è consigliabile farla per iscritto con un mezzo idoneo (fax, raccomandata r.r.) a conseguire la prova dell’avvenuto ricevimento. Si tenga conto altresì che non è dovuta tale tutela processuale in favore dell’acquirente se, al momento dell’acquisto, conosceva i vizi oppure essi erano facilmente riconoscibili.
Se l’acquirente non rispetta i due termini (8 giorni/1 anno) oppure i vizi erano rilevabili al momento dell’acquisto, egli può, comunque, trovare un’altra forma di tutela. Quale? Gli è infatti permesso legalmente di agire per l’adempimento del contratto o per la risoluzione o per il risarcimento dei danni derivati, in forza della generale normativa prevista per l’inadempimento di obbligazioni contrattuali (art 1218, 1453 c.c.), che non prevede termini perentori ove l’inadempimento si sarebbe configurato nella vendita di un bene viziato.
Un caso di inadempimento da parte del venditore è stato ritenuto dal Tribunale di Roma (sent. 14/07/1995) concernente la vendita di un cavallo purosangue da riproduzione senza l’allegato certificato di idoneità alla riproduzione, in ordine ad un cavallo sieropositivo per arterite virale equina. Di regola la “garanzia per i vizi” in materia di vendita di animali, è disciplinata da leggi “speciali”o dagli “usi locali” e quindi, solo se mancano anche questi ultimi, si applica la predetta normativa codicistica (art. 1490 c.c.) che configura la generale azione di garanzia di “cose” vendute, animali inclusi.
Se invece la malattia è considerabile come “mancanza di qualità” dell’animale venduto (art. 1497 c.c.) il compratore “ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.) “purchè il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi”.
Qualora infine la patologia fosse ritenuta una “mancanza nell’oggetto di requisiti previsti secondo legge” il contratto sarebbe nullo per legge (art.1418 c.c.) e l’acquirente potrebbe agire processualmente contro il venditore al fine di conseguire la declaratoria giudiziale di nullità, con restituzione della somma versata.
A differenza delle altre la garanzia di nullità non è soggetta ad alcun termine perentorio o di prescrizione.
Quanto finora detto basti a fare constatare ai presunti acquirenti danneggiati che la legge, in effetti, non è carente di “opzioni difensive” in loro favore, fermi, si intende, le difficoltà probatorie del caso.
Avvocato Giorgia Leone