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“Rapporto sul maltrattamento animale in Italia”: contributo dell'avvocato David Zanforlini

Apr 10, 2017 | Argomenti, LEAL informa, Vivisezione

Clicca qui per leggere e scaricare gratuitamente il “Rapporto sul maltrattamento animale in Italia 2016”cover_Rapporto_maltrattamento_2016

È il primo dossier sul maltrattamento animale in Italia: oltre 600 pagine che comprendono articoli e notizie di crimini nei confronti degli animali.
Il volume ha il sostegno di LEAL Lega Antivivisezionista e di Riscatto Animale. A compendio pubblichiamo il testo dell’avvocato David Zanforlini, referente legale di LEAL e consulente del Rapporto.

Testo avvocato David Zanforlini
Forse che gli animali hanno diritti?
È una domanda che può sembrare strana, ma non è certo nuova, ed è d’obbligo nel nostro diritto perché è palese la viva attenzione degli italiani al benessere animale, attenzione che sta via via accrescendosi non solo in termini numerici nel corso di questi ultimi anni.
Diverse le recenti tappe normative rilevanti sul punto: sicuramente l’art. 13 del TFUE ha dato un chiaro indirizzo al modo in cui i paesi membri della Comunità Europea devono affrontare il problema della tutela degli animali, recitando che devono tenere: “pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.
Di seguito la legislazione italiana ha inserito, nel corso del 2004, nel Codice Penale il Titolo IX bis “dei delitti conto il sentimento degli animali”, ed ha introdotto norme per colpire il maltrattamento e l’uccisione degli animali.
Senonché il Titolo stesso di questo complesso normativo dimostra la prima grave carenza culturale che affligge il nostro diritto positivo: infatti chiaramente è tutelato il “sentimento” degli animali, intendendo con ciò che ad essere veramente tutelato è il senso di riprovevolezza che un evento violento nei confronti degli animali suscita nell’essere umano, non il loro diritto al “benessere”.
Non solo, ma di recente è stata introdotta nel nostro ordinamento una norma, l’art. 131 bis del Codice Penale, “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, che pur cercando di dare parametri rigidi entro i quali il Giudice si deve muovere, in concreto rilascia ampiamente alla sua sensibilità di decidere se un fatto debba essere o meno “tenue”, tanto più che nella materia che ci occupa l’influenza della nostra sensibilità alla tutela animale varia considerevolmente da persona a persona. La grande elasticità di questa norma consente le più svariate interpretazioni, al punto che il Tribunale di Milano (IV^ Sez. Penale, sent. 3937/2015, Dott. Marco Tremolada) ha ritenuto non punibile colui che aveva preso ripetutamente a calci un cane al guinzaglio e con il padrone, “reo” di avere orinato sui giornali di un edicolante, mandandolo in concreto assolto. Il ragionamento sotteso a giungere a tale decisione si fonda sostanzialmente sul fatto che l’imputato non avrebbe agito per futili motivi, o con crudeltà e tanto meno avrebbe adoperato sevizie, poiché la sua azione delittuosa rappresentava una reazione, seppure sproporzionata, ad un danno dallo stesso subito, così come i calci ripetuti non rappresentavano, secondo il Giudicante, la volontà di causare all’animale particolari sofferenze gratuite, tali da integrare sevizie o crudeltà. Come appare evidente, al di là delle valutazioni etiche di carattere personale, l’errore di fondo è il ragionamento tautologico svolto: il comportamento dell’imputato in sentenza non veniva ritenuto crudele, e quindi non risultava punibile, in quanto l’azione, pur indirizzata scientemente ad infliggere sofferenze all’animale, non risultava connaturata da compiacimento nei confronti dell’altrui dolore, ciononostante si volesse infliggere gratuitamente dolore (cioè in sostanza, il contenuto della definizione di crudele).
Come si può notare l’ampiezza della valutazione rilasciata alla personale sensibilità in questo caso è persino nociva, non essendo possibile che, a seconda della percezione di chi ci si trovi di fronte un comportamento sia da ritenersi punibile, o meno, anche perché così facendo si rischia concretamente di far divenire leciti certi atteggiamenti che la comunità, vera padrona del diritto, ritiene invece assolutamente contrari al vivere civile.
In questo mare magno, quindi ci si trova quotidianamente a discutere per tentare di contrastare fenomeni intollerabili, come dimostra la lunga serie di casi descritti nelle troppo numerose pagine del “Rapporto sul Maltrattamento Animale in Italia – 2016”, azioni che la attenzione pubblica vuole mettere al bando, ma che il nostro sistema normativo, in primis, e giudiziario, in secundis, faticano ad analizzare nella sua vera ed attuale natura.
È vero anche che il Consiglio di Stato (sent. n. 6317 del 27 settembre 2004) ha avuto modo di affermare che “la disciplina giuridica che il nostro ordinamento appresta in materia di animali ha quale oggetto di tutela non solo il sentimento di pietà nell’uomo connaturato verso gli animali, ma anche direttamente gli animali da forme di maltrattamento, abbandono e uccisioni gratuite in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore, e ciò in base ad un’interpretazione adeguata all’evoluzione dei costumi e delle istanze sociali in tema naturalistico”, e ancora più di recente la Cassazione (III^ Sez., sent. 6829/2014) ha anch’essa dichiarato che gli animali: “sono considerati non più fruitori di una tutela indiretta o riflessa, nella misura in cui il loro maltrattamento avesse offeso il comune sentimento di pietà, ma godono di una tutela diretta orientata a ritenerli come esseri viventi. In quest’ottica, quindi, l’animale costituisce il bene giuridico protetto e non più l’oggetto materiale del reato, tanto che, per questa via, si è progressivamente realizzato il rafforzamento della tutela penale degli animali che appare più evidente laddove si tenga conto dei principi fissati dalla carte internazionali”.
Analisi queste sicuramente condivisibili, ma che ancora faticano ad imporsi nella pratica quotidiana.
Forse ancora il Tecnico del Diritto non ha fatto una valutazione imprescindibile, che consentirebbe le norme fossero il mezzo, anziché il fine, con cui affermare e tutelare un diritto, e cioè che da sempre la mira dell’Ordinamento è quella di privilegiare la tutela del debole, rispetto a quella del soggetto che ha la forza di sopportare un’ingiustizia. Con ciò non si vuole sostenere che in un caso si debba intervenire e nell’altro non si faccia nulla, ma che l’attenzione sociale è più viva ed attenta alle violazioni dei diritti dei deboli, di coloro che più hanno necessità di assistenza. È questo il motivo per cui vi è tanta attenzione alla tutela degli animali, non perché si sia stravolta la società, ma perché essi, per loro natura, rispetto al genere umano, sono più deboli: effettivamente essere la razza dominante comporta non solo benefici, ma anche doveri.
In questo senso deve essere letta la nota frase “ciò che è inevitabile può essere anche spiritualmente intollerabile. Ciò che può essere giustificabile può essere atroce” (La famiglia Winshaw – J. Coe). In realtà ciò che richiede la Comunità Italiana, ora, è che, se non è possibile evitarla, ogni atrocità deve essere combattuta al meglio e senza incertezze con gli strumenti che il nostro Ordinamento ci consente di usare.


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